Programma Festa della musica 2024 - Associazione Terra Mea
Sabato 22 giugno 2024
Cagliari, Chiesa di San Lucifero
PROGRAMMA
L’𝗔𝘀𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗧𝗲𝗿𝗿𝗮 𝗠𝗲𝗮 , in occasione della 𝓕𝓮𝓼𝓽𝓪 𝓭𝓮𝓵𝓵𝓪 𝓶𝓾𝓼𝓲𝓬𝓪, presenta un appuntamento speciale con il canto corale di ispirazione popolare.
Si esibiranno in concerto, con armonie e musiche della tradizione sacra e profana della nostra terra il 𝓒𝓸𝓻𝓸 𝓣𝓮𝓻𝓻𝓪 𝓜𝓮𝓪 e il 𝓒𝓸𝓻𝓸 𝓥𝓸𝓬𝓱𝓮𝓼 ‘𝓮 𝓐𝓶𝓶𝓮𝓷𝓽𝓸𝓼 di Galtellì.
In occasione dell’evento, la formazione baroniese presenterà dei brani tratti da “𝓖𝓻𝓪𝔃𝓲𝓪 𝓓𝓮𝓵𝓮𝓭𝓭𝓪 𝓮 𝓵𝓪 𝓼𝓾𝓪 𝓢𝓪𝓻𝓭𝓮𝓰𝓷𝓪”: un viaggio corale attraverso gli 𝘢𝑟𝘳𝑎𝘴𝑡𝘰𝑠 (passi) del narrato deleddiano, legando stati d’animo, misteri, miti, personaggi, simboli e arcaiche tradizioni dell’isola.
I Cori
Coro Voches ‘e Ammentos
Direttore: Pietro Marrone
Coro Terra Mea
Presentazione
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Il Coro Voches 'e ammentos
Il coro di ispirazione popolare nasce nel 2000 a Galtellì, piccolo paese della costa orientale della Sardegna. Dal 2017 è diretto dal M° Pietro Marrone e il suo organico è ora composto da 22 coristi.
La traduzione letterale del suo nome è “Voci e Ricordi” giacché fonda nella ricerca e nella rielaborazione di poesie e armonie il suo repertorio in lingua sarda. Completano il suo catalogo musicale anche brani in lingua latina e italiana. Ha sede in una antica dimora del Borgo medioevale di Galtellì in cui nel 2018 ha inaugurato il Laboratorio Delle Arti e Tradizioni Etnomusicali, luogo destinato allo studio della cultura musicale della Sardegna. Dal 2008 promuove spettacolarizzati eventi dedicati alla scrittrice Grazia Deledda che a Galtellì ambientò il romanzo Canne al vento, opera che gli valse il Nobel per la Letteratura nel 1926. In tale ambito l’organizzazione “Sos Arrastos de Grassia – Festival di Coralità, Musica, Letteratura e Arti Popolari”, importante iniziativa giunta quest’anno alla sua 10 a edizione con densi appuntamenti tra arti popolari, musica e letteratura all’insegna dell’eredità della scrittrice. All’interno del Festival attribuisce e consegna annualmente il “Premio Mastru ‘e Ammentos” a personalità che si sono distinte nella promozione e tutela della musica, della lingua e delle arti popolari più antiche della Sardegna. Nella continua opera di promozione della Deledda svolta dal Coro si inseriscono anche gli spettacoli musico corali “La Colpa e l’Espiazione”, portato in scena nel 2019 e ispirato alle figure di Efix e Lia personaggi principali del romanzo e lo spettacolo “Efix il Servo”, portato in scena nel 2021 e dedicato al cammino di riparazione del personaggio principale del romanzo attraverso santuari e chiese della provincia di Nuoro. Il Coro ha effettuato diverse tournée nella penisola italiana e all’estero esibendosi in Spagna, Gran Bretagna, Norvegia e Germania. Tra i recenti premi in competizioni corali il premio per la miglior esecuzione nel “Biennale Concorso per Cori Tradizionali Sardi” di Ozieri nel 2019, il 1° Premio del Settore Brani Inediti, il 1° premio della Giuria Popolare ed il 1° Premio Assoluto del concorso nazionale “A Manu Tenta” di Nuoro nel 2020 ed ancora il 1° Premio del Settore Brani Inediti, il 1° Premio Assoluto del concorso nazionale “A Manu Tenta” di Nuoro nel 2021 e nel 2022 alla 13 a edizione del “Concorso Nazionale corale Polifonico del Lago Maggiore” di Verbania il Premio Giuria Popolare del concorso e il 3° Premio Categoria Cori Popolari. È presieduto dal 2005 da Giovanni Vacca. Durante la rassegna di Cagliari, prevista per sabato del 22 giugno 2024, il Coro Voches ‘e Ammentos presenterà “Grazia Deledda e la sua Sardegna”: un viaggio corale tra sacro e profano attraverso gli arrastos (passi) del narrato deleddiano, legando stati d’’animo, misteri, miti, personaggi, simboli e arcaiche tradizioni dell’isola.
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Il Coro Terra mea
L’Associazione Culturale Terra Mea nasce a Cagliari nel Novembre 1997 dall’iniziativa di un gruppo di studenti universitari, che danno vita ad una sezione canora e ad una sezione coreutica. Nel tempo, la presenza universitaria si rafforza e nel 2001 si costituisce, trasversale ai due gruppi, l’omonima Associazione studentesca patrocinata dall’ERSU (Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario), che finanzia e pubblicizza l’attività istituzionale e mette a disposizione i suoi locali per lo svolgimento delle attività associative; nel 2002 viene formalmente sancita la sezione coreutica. Negli anni, l’Associazione diventa un riferimento per molti appassionati del canto e ballo tradizionale, che seppur provenendo da diverse regioni della Sardegna, per motivi di studio o di lavoro si stabilizzano a Cagliari.
Attualmente, molti di quegli studenti universitari, sono divenuti professionisti e costituiscono il nucleo fondante dell’Associazione.
Le numerose iniziative culturali promosse dall’Associazione, inizialmente rivolte ad un ambiente geografico più prossimo, si sono poi spostate verso orizzonti, geografici e culturali sempre più ampi. Sono nate così le partecipazioni a diverse manifestazioni tenutesi nella penisola e all’estero, quali ad esempio: Festival Pro Etnica a Sighisoara – Isola di Maiorca nel 2005; I Festival Internazionale della Cultura delle Nazioni Europee, tenutosi nella città di Poznan (Polonia) nell’Agosto 2007; III e V edizione del “The International Folklore Festival” organizzato in Bulgaria da The Bisserov Sisters Family, nel 2009 e 2011; Trentino 2004 “Corti, Chiese e Cortili”, presso il borgo di Oliveto Monteveglio a Bazzano nel 2005; Bologna 2008; Festival “Etna Cori Estate” a Ragalna, in provincia di Catania, nel 2019; “Toscana Music Festival ” Montecatini Terme, nel 2023;
Rientrano nella stessa categoria due gemellaggi realizzati con cori provenienti dall’estero: con il Coro di Esporles, presso l’isola di Maiorca, nei mesi di Luglio 2005 e Agosto 2006; con cori giapponesi, nella città di Cagliari nell’estate del 2008.
I brani
Voches 'e Ammentos
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Santa Maria ‘e Turres
Popolare Galtellì – Emilio Capalbo
Il brano è un antico Gosos dedicato alla Madonna che si venera nella Chiesa ora dedicata al SS. Crocifisso a Galtellì. Santa Maria ‘e Turres (Santa Maria delle Torri) è in riferimento alle tre torri poste all’apice delle tre cupole che compongono la chiesa che sino alla metà del 1600 era a lei dedicata in qualità di Patrona di questa comunità. Una reliquia sempre presente a lato del SS. Crocifisso, in quella chiesa tanto cara al Servo Efix e che in più punti del romanzo è richiamata insieme alle sue sculture a fissare la sua profonda fede e religiosità. “Efix la guarda e sente, come sempre davanti a questa figura che s'affaccia dall'oscurità di un passato senza limiti, un capogiro come se fosse egli stesso sospeso in un vuoto nero misterioso... Gli sembra di ricordare una vita anteriore, remotissima. Gli sembra che tutto intorno a lui si animi, ma d'una vita fantastica di leggenda; i morti risuscitano, il Cristo che sta dietro la tenda giallastra dell'altare, e che solo due volte all'anno viene mostrato al popolo, scende dal suo nascondiglio e cammina: anche Lui è magro, pallido, silenzioso: cammina e il popolo lo segue, e in mezzo al popolo è lui, Efix, che va, va, col fiore in mano, col cuore agitato da un sussulto di tenerezza...”
“Mamma solo oggi ho capito
quanto hai patito e penato per me
e quanto affabile mi hai amato.
Quando da piccolo mi tenevi in braccio
appena stavo imparando a parlare
con il cuore felice e innamorato
mi hai sentito Mamma mormorare.
Ed ora quando finisce il dramma terreno
l’ultima voce prima di morire
sarà ancora per te Mamma!!” -
Padre Nostro
Grazia Deledda – Claudio Macchi
È una delle poche poesie scritte da Grazia Deledda, ritrovata dal coro pubblicata in una vecchia edizione del 1940 della rivista Civiltà Cattolica. Nell'aprile del 1928, due anni dopo il Nobel, quando da anni viveva a Roma, in seguito a un crescente malessere, Grazia Deledda fu ricoverata in una clinica, dove le fu asportata la mammella sinistra invasa da filamenti cancerosi.
Accolse "il dolore come l'intermediario tra noi e Dio". Scrivendo l'ultimo romanzo La chiesa della solitudine, la scrittrice fa dire alla protagonista Maria Concezione, ventottenne e anch’essa cancerosa: "C’é una specie di vergogna a parlare di certi mali, a mostrare le intime piaghe del corpo: io ho avuto questa vergogna, dimenticandomi che Gesù fece delle sue piaghe le lampade che illuminano il mondo più del sole e delle stelle".
Pochi giorni prima della morte, avvenuta a Roma il 15 agosto 1936 proprio nella giornata dell'Assunzione di Maria al cielo, l’amico e noto pittore Remo Branca incontrò la scrittrice per ritirare la poesia in previsione dell’ imminente morte dell’amica e recitarla durante il suo funerale.
Invece di questa poesia la Deledda preparò invece un altro testo un altro testo, brevissimo, a fissare la sua profonda devozione religiosa: "Ho avuto tutte le cose che una donna può chiedere al suo destino. Ma grande sopra ogni fortuna, la fede nella vita e in Dio".
In questo scritto, quasi a testamento, emerge la profonda morale religiosa di Grazia, narrata nel romanzo Canne al Vento attraverso la vita di Efix, uccisore involontario del padrone ricco e insopportabile don Zame.
Il racconto è tutto "aria di rovina", con "l'assassinio del servo rimasto impunito, perché mai scoperto; ma Dio vede tutto e la rovina e la miseria incombe sulle padrone di lì" - Finché Efix, consapevole di esser causa del danno cercherà di espiarlo e muore. Forte, in tal senso, il dialogo tra Efix e Donna Ester, una delle sue padrone: - “Ma perché questo? Efix, dimmi tu, che hai girato il mondo, è dappertutto così? Perché la sorte ci stronca come canne?” - “Siamo come canne al vento... e la sorte è il vento.” - “Si, va bene, ma perché questa sorte? É il vento perché?” - “Dio solo lo sa”.“Non sopra le nuvole rossedell’ira tua grande o signore
ma in cima ad un’erta terrena
tu siedi e ci guardi salire
qual gregge disperso
il pastore sei tu,
tu sei il Padre benigno
del nostro maligno dolore
ci aspetti non morti ma vivi
sull’orlo le schegge han pugnali
i corvi ci succhiano gli occhi
tu padre ci aspetti tu vivi per noi:
senza noi tu non sei
ed il male non scende da te
ma sale con noi verso te.
e quando coi nostri ginocchi corrosi
nel cuore l’offerta del figlio morente
siam giunti al sommo dell’erta,
uno sguardo tuosolo distrugge
e rinnova la nostra esistenza
o signore”.
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Sa mama
Bernardo Zizi – Emilio Capalbo
Nel secondo brano, dal titolo SA MAMA, (La madre) il servo morente Efix rievoca soavi sentimenti verso la madre, intesa anche come madre di Gesù. Rime particolarmente armoniche, quasi musicali, con versi freschi e scorrevoli da cui traspaiono evidenti, attraverso i più sentiti motivi ispiratori, come se li riscoprisse e ritrovasse nel gran libro della sua memoria, la devozione e l’amore che riversa nella donna che gli ha dato la vita ed a cui chiede il perdono. Ed è così che la Deledda descrive in modo molto commovente gli ultimi momenti di Efix: “Chiuse gli occhi e si tirò il panno sulla testa. Ed ecco…le canne mormoravano… gli pareva di addormentarsi… ma d’improvviso sussultò, ebbe l’impressione di precipitare… Era caduto di là, nella valle della morte”.
“Mamma solo oggi ho capito
quanto hai patito e penato per me
e quanto affabile mi hai amato.
Quando da piccolo mi tenevi in braccio
appena stavo imparando a parlare
con il cuore felice e innamorato
mi hai sentito Mamma mormorare.
Ed ora quando finisce il dramma terreno
l’ultima voce prima di morire
sarà ancora per te Mamma!!” -
A s'isposa mia
Antioco Casula Montanaru – Pietro Marrone
Il sonetto Alla Mia Sposa racconta di un Efix morente a cui, tra sogno e realtà, appare l’amata Lia per un dialogo liberatorio, dove entrambi confesseranno le verità nascoste per tanti anni.
Efix accoglie la rivelazione della morte sicuro di aver espiato il peccato nella risposta al bisogno degli altri.
Un filo rosso che ha attraversato e motivato eventi e momenti della sua vita terrena, versata per gli altri in obbedienza e nutrita dall’amore mai inaridito dell’amata Lia che “nonostante la luce, il canto degli uccelli, la vedeva pallida nel suo scialle nero, come la figura su nel quadro antico che tutte le donne guardano ogni tanto e che pare affacciata davvero a un balcone nero cadente. Era come la figura della Maddalena, che gli dicevano dipinta dal vero: l'amore, la tristezza, il rimorso e la speranza le ridono e le piangon negli occhi profondi e nella bocca amara che ha sempre desiderato”.
“Quando tu appari maestosacon tanta grazia e umile
in un lampo scompare il malessere
di questa mia vita faticosa.
La mia anima si purifica gioiosa
di ogni triste passione
e come di fronte a una Dea
mi inchino a te mia bella sposa.
Tu mi tieni nelle tue braccia
stringendomi con santa bramosia,
ai ricchi non invidio i beni
perché più di ogni perla e ogni cuore
sei valorosa mia sposa!”
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Su falsu tzegu peditore
Bernardo Zizi - Giampaolo Selloni
Il grande poeta estemporaneo Bernardo Zizi in un semplice ma coinvolgente sonetto riesce ad evocare il rimorso del falso cieco mendicante, facendo affiorare il rimorso di EFIX di aver ucciso. Un perdono che il servitore di Canne al vento cerca peregrinando, soffrendo, confuso insieme ad altri petitores, tzoppos, istroppiados e tzegos scontando questo dolore per chiese e santuari della provincia di Nuoro. Un viaggio di espiazione intriso di fede, un dogma che riporterà il servo a Galte solo quando sentirà “avvicinarsi la morte, piano piano, come salisse tacita dal sentiero accompagnata da un corteggio di spiriti erranti”.
Il grande poeta estemporaneo Bernardo Zizi in un semplice ma coinvolgente sonetto riesce ad evocare il rimorso del falso cieco mendicante, facendo affiorare il rimorso di EFIX di aver ucciso. Un perdono che il servitore di Canne al vento cerca peregrinando, soffrendo, confuso insieme ad altri petitores, tzoppos, istroppiados e tzegos scontando questo dolore per chiese e santuari della provincia di Nuoro. Un viaggio di espiazione intriso di fede, un dogma che riporterà il servo a Galte solo quando sentirà “avvicinarsi la morte, piano piano, come salisse tacita dal sentiero accompagnata da un corteggio di spiriti erranti”.
“In gioventù fiero, forte e sano
sei partito dal tuo paese
dicendo a tutti, sono nato cieco!
In tutti i paesi vicini e lontani
alzi la mano chiedendo l’elemosina,
unito ad un vero cieco
nel giorno di festa sei malvestito.
Per non farti riconoscere dai paesani
vivi sempre povero e meschino,
sempre pronto a chiedere denaro.
Hai seguito questo stile di vita
E quando arriverai al tramonto della vita,
davanti al giudice divino dovrai
rendere conto di quello che hai fatto!” -
Lagrima
Bernardo Zizi - Pietro Marrone
Il grande poeta estemporaneo Bernardo Zizi in un semplice ma coinvolgente sonetto riesce ad evocare il rimorso del falso cieco mendicante, facendo affiorare il rimorso di EFIX di aver ucciso. Un perdono che il servitore di Canne al vento cerca peregrinando, soffrendo, confuso insieme ad altri petitores, tzoppos, istroppiados e tzegos scontando questo dolore per chiese e santuari della provincia di Nuoro. Un viaggio di espiazione intriso di fede, un dogma che riporterà il servo a Galte solo quando sentirà “avvicinarsi la morte, piano piano, come salisse tacita dal sentiero accompagnata da un corteggio di spiriti erranti”.
“In tutte le età
sei la nostra fedele compagna
perché, solo tu, puoi esternare
il nostro star bene o il malumore.
Sei presente nei momenti di dolore,
vicina in quelli allegri.
Sei nella nostra vita, come un tesoro
racchiusa nello scrigno del cuore.”
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Nois semus sardos
Grazia Deledda- Pietro Marrone
È una delle più famose poesie attribuite ormai da tutti i sardi a Grazia Deledda.
Le liriche di Noi Siamo Sardi, seppur sinora non vi siano studi scientifici o documentazioni a certificarne il riconoscimento, sono per voce di popolo essere stati composti dalla scrittrice all’età di 17 anni insieme al suo primo scritto Sangue Sardo. I versi si innalzano come il manifesto della millenaria identità dell’isola di Sardegna, un capolavoro scritto con parole che risuonano come gridate da un’eco lontano che, nel cuore di tutti noi sardi, è forte e antico come la roccia granitica, testardo e fiero come i nostri sguardi. Il testo, tradotto in lingua sarda variante Baroniese per dare maggiore senso di appartenenza all’incipit, riassume le origini ricche di contaminazioni del popolo sardo, di conquista e incontro tra diverse culture, originali fusioni di civiltà e saperi che nei secoli hanno vissuto i sardi e la terra di Sardegna.
Versi che riportano a luoghi, suoni e sensazioni familiari, perché per racchiudere ciò che significa essere sardi non basta descrivere un luogo: bisogna descriverne gli echi, i silenzi antichi, bisogna dipingerne i colori, in tutte le loro sfumature, bisogna trasmettere le sensazioni, raccontare quella storia antica che permea ogni roccia, ogni foglia, ogni cuore, che è scolpita nella pelle dei nostri centenari, stretta nelle mani salde e granitiche dei nostri pastori, racchiusa negli sguardi forti e profondi delle donne, nei capelli scompigliati dal maestrale, nella tenacia dei giovani cuori.
Nois semus ispannolos, africanos, fenìcios, cartaginesos,romanos, moros, pisanos, bizantinos, piemontesos.
Semus sos iscorravòes de oro grogo chi pendent
in sas camineras de petra comente làmparas mannas allutas.
Semus sa solidade agreste, sa mutura manna e afunduta,
sa luche de su chelu, su frore biancu de su mutrecu.
Semus su rennu chene fine de sa chessa,
de sas undas chi abruscant su granitu anticu,
de sa rosa canina, de su ventu, de s’immensidade ‘e su mare.
Semus una terra antica de muturas longas,
de largos e sintzeros campiles, de undos umbrinosos,
de montes brujatos dae su sole e dae sa vindìta.
Nois semus sardos!
Noi siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi,
romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi.Siamo le ginestre d’oro giallo che spiovono
sui sentieri rocciosi come grandi lampade accese.Siamo la solitudine selvaggia, il silenzio immenso e profondo,
lo splendore del cielo, il bianco fiore del cisto.Siamo il regno ininterrotto del lentisco,
delle onde che ruscellano i graniti antichi,
della rosa canina, del vento, dell’immensità del mare.Siamo una terra antica di lunghi silenzi,
di orizzonti ampi e puri, di piante fosche,
di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta.Noi siamo sardi!
Terra Mea
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Babbu nostru
Don Giovanni Cabiddu - Salvatore Nuvoli
Oh Babbu Soberanu
ch’in sos chelos istades
et semper nos mirade
cun amore.Oh Supremu Segnore,
su nomen Vostru santu
siat esaltadu tantu
in chelu e in terra.Semus semper in gherra
benzat su regnu Vostru
ch’est puru regnu nostru
‘e santitade.Sa ostra volontade
faghimus dotzilmente
in sa terra comente
est fatta in chelu.Como cun tantu zelu
su pan’e cada die
dimandamus a chie
est babbu bonu.Nois damus perdonu
a sos nimigos nostros
Bois, sos peccados nostros
perdonade.Tenidende pietade
de sos fizos tentados
continu insidiados
nos sentimusda ‘e su male pedimus
de esser liberados
e in sos chelos giamados
a sa gloria.Amen
-
Ave Maria algherese
Salvietti-Montanari
Ave Maria,
plena de gràcia,
nostre Senyor és amb Tu,
beneïta sés Tu
mes de totes les dones,
i beneït sigui
lo Fill tou Jesus.Santa Maria,
Mare de Déu,
prega pels pobres pecadors,
que t'adoren,
ara i a l'hora
de la mort nostra.
Amen. -
Murinedda
Ignazio Cappai - Peppino Giglio
Murinedda mia
Cando andat a sa festa
Fintzas su corittu dae atteros s'imprestatDae atteros s'impresta
S'imbustu e sa gunnedda
S'imbustu e su panneddu
Sa mia murineddaMurinedda mia
Itt'est custu dannu
Itt'est custa beffe
Chi faches d'onzi annu -
Cantos e ballos
Istèvene Chessa - Tiziana Puggioni
Dae su chelu ‘e sa Sardigna
nois leamus passu e boghe;
in su coro nostru, inoghe,
diferèntzia non si signa(t),ca chie vivet de cultura,
in donzi òmine at su frade.Cun virtudes e amistade
semper bona est sa ura.No amus làcanas peruna
subra sa terra gloriosa
e dae pètalos de rosa
nois retzimus sole e luna.Ballu a passu, ballu tundu,
batorinas in cantone
giughent fatu s’emotzione
e l’isparghent in su mundu.Sunt sas mezus resessida(s)
sa duas prendas, ite ispantu,
ca dae semper, ballu e cantu
sunt sinònimos de vida.Bos arrivet su siddadu
chi donamus cun su coro.
Siat pro totus sambenadu;
balet prus de prata e oro. -
Unu ballu pilicanu
Franzischinu Satta - Alessandro Catte
Unu ballu pilicanu
mesu anticu e mesu nobu,
bellu, tundu paret obu,
durat finzas a manzanu.Unu ballu chin s’ispera
de sos sònnios prus galanos:
alligrittos, risulanos,
ziricande a tiritera.De puzones unu bolu
d’anzoneddos unu tazu;
de su coro s’accasazzu,
de sa mente su cossolu.Chin su coro a frichinias
canto, canto, canto imbanu
in sas percas de s’arcanu
sas prus durches sinfonias.Unu ballu pilicanu
mesu goi e mesu gai;
in sos zassos d’Illorai
cantan finzas a manzanu.Canta, canta, gardanera,
canta chin lusingas d’oro
sos segretos de su coro
chin sos alinos d’ispera.Luna bella, luna crara,
tue ch’istimas cada frade
ischis: sa bera amistade
sun sas criticas in cara.In sos ballos de s’incunza:
capidanne soberanu
torrat bellu a coro in manu:
nos bocamus gana e runza.Canta e balla, balla e canta,
no!, non timas su seranu
Peri sende pilicanu
contas finzas a baranta.